Rigoni Stern dialoga con Marco Paolini

Sergentmagiù, ghe rivarem a baita?

Il sergente nella neve” è il diario autobiografico del sergente maggiore dei mitraglieri Mario Rigoni Stern, alpino del battaglione Vestone

Crpiemonte
4 min readApr 2, 2020

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di Marco Travaglini

“Ho ancora nel naso l’odore che faceva il grasso sul fucile mitragliatore arroventato. Ho ancora nelle orecchie e sin dentro il cervello il rumore della neve che crocchiava sotto le scarpe, gli starnuti e i colpi di tosse delle vedette russe, il suono delle erbe secche battute dal vento sulle rive del Don..”. Così inizia “ Il sergente nella neve”, diario autobiografico del sergente maggiore dei mitraglieri Mario Rigoni Stern, alpino del battaglione Vestone, divisione alpina Tridentina.

Rigoni Stern sull’Altipiano

Il libro uscì sessantasette anni fa, nel 1953 con il sottotitolo “Ricordi della ritirata in Russia”. Era il sedicesimo volume della collana “I Gettoni” pubblicata da Einaudi e diretta da Elio Vittorini nella storica sede torinese al numero 2 di via Biancamano. Il racconto di Rigoni Stern ( la prima stesura di quel suo diario l’aveva scritta nel Lager I B della Masuria, in Prussia Orientale, non molto distante dall’odierna Kaliningrad) colpì immediatamente per la forza e per l’umanità della testimonianza, del tutto priva di retorica, su avvenimenti tragici come la ritirata di Russia dell’Armir.

La ritirata di Russia

Nell’inverno del 1944, prigioniero dei tedeschi, mentre fuori dalla sua baracca nevicava sempre, Rigoni Stern iniziò a descrivere i fatti che gli erano capitati l’anno prima. “Presi un mozzicone di matita che conservavo nello zaino per quella mania che avevo di scrivere il mio diario, e su pezzi di carta racimolati in fretta incominciai a scrivere”, raccontò in una intervista. Perché lo fece? Lo spiegò così, a metà degli anni ’60: “Dovevo dire quel che era accaduto a migliaia di uomini come me in quel dato periodo della guerra. Volevo narrare solamente una condizione umana.

Il sergente nella neve

Tutto qui”. Il romanzo, suddiviso in due parti distinte ( “Il caposaldo” e “La sacca” ) racconta i tre mesi in cui gli alpini italiani,sulle rive del Don, ricevettero l’ordine della ritirata (era il 17 gennaio del 1943) e con fatica e dolore, fame e freddo, s’incamminarono nelle steppe russe “un passo dietro l’altro, un passo dietro l’altro”. Stremati, affamati, consapevoli dell’inutilità della guerra, si mettevano in bocca la neve per simulare la masticazione del cibo; senza più armi né munizioni, sull’orlo del tracollo psicologico e fisico, a rischio di congelamento marciarono nella steppa,incalzati dalle divisioni sovietiche.

Un giovane Rigoni Stern

Una storia tragica, terribile durante la quale Rigoni Stern e i suoi compagni cercarono di non perdere il senso dell’umanità , come nel caso dell’incontro coi soldati russi in un’isba dove i nemici divisero il cibo con i nemici, in un clima di pace e serenità (“Una volta tanto le circostanze avevano portato degli uomini a saper restare uomini”). Accanto a Mario, protagonista e narratore, ci sono Marangoni e Bodei, Bosio e Pintossi,Tourn, Moreschi e tanti altri che condivisero le stesse ansie e fatiche, ponendosi la stessa domanda, carica di speranza che gli rivolgeva l’alpino Giuanin: “Sergentmagiù, ghe rivarem a baita?”.Un libro che ha attraversato i decenni senza perdere un filo di freschezza e autenticità, resistendo all’usura del tempo.

Un’altra edizione del libro

Al sergente nella neve si è ispirato anche l’attore Marco Paolini che ne fece uno spettacolo teatrale di grande successo. Dal libro è stata tratta la sceneggiatura per un film, mai realizzato, a doppia firma dallo stesso autore e dal registra Ermanno Olmi. Rileggendolo, dodici anni dopo la scomparsa del grande vecchio di Asiago, si coglie ancora il senso del discorso equilibrato e struggente della testimonianza che Rigoni Stern dedicò a chi rimase per sempre nella sacca del Don. Un motivo in più per leggerlo o rileggerlo.

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