L’arresto di Silvio Pellico

Silvio Pellico e lo Spielberg di un rivoluzionario “mancato”

Il 31 gennaio del 1854 moriva a Torino Silvio Pellico, intellettuale, scrittore e - nei fatti - un “rivoluzionario mancato”

Crpiemonte
4 min readNov 20, 2017

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di Marco Travaglini

Pellico divenne famoso per il libro autobiografico Le mie prigioni, dove narrava i nove anni trascorsi nel carcere dello Spielberg, una vecchia fortezza dell’Impero austriaco vicino a Brno, nell’odierna Repubblica Ceca.

Cella dello Spielberg dove furono rinchiusi Pellico e Maroncelli
La fortezza dello Spielberg a Brno

Un carcere duro, con celle umide e poco ventilate, dove scrivere lettere e comunicare con l’esterno era molto difficile e il cibo — oltre ad essere scarso — era anche di cattiva qualità. Il carcere lo cambiò molto in fretta, al punto che — come ha scritto lo storico Luciano Canfora “passò rapidamente da una generica mentalità libera e non confessionale ad un esasperato cattolicesimo”.

Silvio Pellico in una litografia ottocentesca. (Milano, Raccolta Bertarelli)

Pellico scrisse Le mie prigioni, almeno stando ai suoi racconti, con motivazioni e finalità molto diverse rispetto a quelle che vennero assegnate a quello che viene univarsalmente riconosciuto come uno dei testi simbolo del Risorgimento. La sua intenzione non era tanto quella di accusare il duro sistema carcerario austriaco quanto il voler mostrare come la religione potesse essere di conforto nei momenti difficili della vita e, stando ai suo biografi, furono sua madre e il suo confessore a suggerirgli di scrivere le memorie.

Le mie prigioni edizione 1832

Il venerdì 13 ottobre 1820 fui arrestato a Milano, e condotto a Santa Margherita. Erano le tre pomeridiane. Mi si fece un lungo interrogatorio per tutto quel giorno e per altri ancora. Ma di ciò non dirò nulla. Simile ad un amante maltrattato dalla sua bella, e dignitosamente risoluto di tenerle broncio, lascio la politica ov’ella sta, e parlo d’altro”.

Edizione del 1954
Edizione del 1965

Già dall’incipit de Le mie prigioni s’intuisce come Silvio Pellico, appena liberato dallo Spielberg, avesse già cessato di essere un rivoluzionario, rinunciando a idee e principi di gioventù per diventare, di lì a poco, un terziario dell’ordine francescano. Pellico era nato a Saluzzo 42 anni prima di iniziare a scrivere il libro che lo rese famoso.

Edizione del 2010

E non fu, quel 1789, un anno qualsiasi ma l’inizio della rivoluzione francese, lo spartiacque temporale — per molti storici — tra l’ età moderna e quella contemporanea. La sua casa natale — un edificio di origine medioevale situato nella scenografica piazzetta dei Mondagli, uno degli angoli più suggestivi del centro storico della cittadina cuneese — attualmente ospita i suoi cimeli e manoscritti, donati in gran parte dalla sorella dello scrittore nel 1858. Trasferitosi da giovane a Milano, diventò insegnante frequentando l’ambiente culturale della città e collaborando ad alcuni importanti giornali dell’epoca come il Conciliatore, una rivista su cui scrissero molti dei principali intellettuali italiani dell’epoca e che fu rapidamente chiusa dalla censura (all’epoca, infatti, Lombardia, Veneto, Trentino e Friuli facevano ancora parte dell’impero austro-ungarico).

Lapide sulla casa dove Silvio Pellico scrisse “Le mie prigioni” in via Barbaroux a Torino

Nel 1932, in occasione del centenario dalla pubblicazione della sua opera più famosa, la municipalità di Torino decise di porre una lapide sul fronte dell’edificio di via Barbaroux nel quale Silvio Pellico scrisse il testo: “Da questa casa/Silvio Pellico/reduce dallo Spielberg/nel 1832/lanciòLe mie prigioni”/pio volumetto vibrante di forte umanità/Subalpina/arma formidabile/ad affrettare i destini della Patria/nella prima ricorrenza centenaria/del memorando evento/il Comune/P. Giugno MCMXXXII”.

Statua di Silvio Pellico a Saluzzo

L’iniziativa fu promossa dal Comitato Piemontese della Società Nazionale per la Storia del Risorgimento e fatta propria dall’amministrazione comunale dell’ex capitale sabauda. L’epigrafe sulla lapide di marmo chiaro, venne redatta dallo storico e senatore Vittorio Cian e se ne stà lì, a futura memoria di chi continua a immaginarlo tra le mura dello Spielberg, rinchiuso per le sue idee.

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