Tra farfalle rare e orsi preistorici
Ce li propone l’itinerario di oggi, in valle Gesso, nel cuneese
di Pino Riconosciuto
Il Piemonte nasconde molti angoli poco conosciuti e di grande interesse. Uno è sicuramente la Valle Gesso e le sue proposte naturalistiche e archeologiche nel Parco naturale delle Alpi Marittime. Il sentiero delle farfalle e le grotte del Bandito rappresentano due esempi calzanti. Entrambi sono raggiungibili su un itinerario ad anello di facile percorribilità.
Per cominciarlo bisogna inoltrarsi nella Valle Gesso (da Cuneo attraverso Borgo San Dalmazzo). Prima di raggiungere Andonno si svolta a sinistra, si prende il ponte sul torrente Gesso e poi a destra. Si può parcheggiare un po’ più avanti, nello slargo ai piedi di Tetti Bandito.
Si torna appena indietro per prendere a sinistra il ponte che attraversa il torrente Gesso. Sulla provinciale si va verso sinistra per il paese di Andonno. Al semaforo giriamo a destra sulla stradina che sale verso il centro del paese e, alla chiesa di Sant’Eusebio, a sinistra. L’itinerario propone in alto i resti di una torre d’avvistamento a base quadrata, il Castlas, dall’incerta datazione, indicata tra il 1000 e il 1200. Arrivati vicino alla cappella della Madonna del Gerbetto proseguiamo in falsopiano fino allo sterrato che percorriamo tenendo la destra, fino a lasciarlo per tagliare una radura delimitata da paletti con tacche bianco rosse. Superiamo una passerella e svoltiamo a sinistra.
Dopo circa duecento metri di discesa prendiamo la carrareccia in salita a destra. Il breve e ripido tratto ci porta alle pareti rocciose delle ex cave del monte Saben, dove si è insediata una farfalla striata in via di estinzione, la Papilio alexanor, che preannuncia il Sentiero delle farfalle. E’ una farfalla classificata in pericolo di estinzione dall’IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura). In Italia questo lepidottero si trova solo sulle Alpi Liguri e Marittime, e in pochissime zone. Qui si può osservare in volo tra giugno e luglio.
Per preservare la specie l’area è stata trasformata con la diffusione del cosiddetto “prezzemolo falso”, di cui si nutrono i bruchi della farfalla, la pulizia delle scarpate, la creazione di aree a suolo nudo necessarie alla specie e l’eliminazione di piante esotiche e invasive. Per favorire la visita dell’area è stato inaugurato nel 2016 il “Sentiero delle Farfalle”, un breve anello tra il centro di Valdieri e la ex cava.
Qui sorge anche la necropoli di Valdieri, nell’area in cui furono riportate alla luce tombe preistoriche durante scavi tra il 1984 e il 2001. Sono state recuperate 12 sepolture, tra cui un’urna priva delle ceneri del defunto, una tomba priva di urna, e tre strutture rituali. La necropoli risale all’Età del Bronzo (1350–900 a.C.) e all’Età del Ferro (625–475 a.C.). Parte della struttura muraria in pietra, realizzata nell’Età del Ferro, è ancora oggi visibile. Un villaggio preistorico è stato ricostruito sul luogo, con capanne e manufatti. A Valdieri, a Casa Lovera, è stato allestito un museo dove si possono ammirare le urne cinerarie e gli oggetti in bronzo e in osso rinvenuti nella necropoli.
Per proseguire nel nostro itinerario, all’altezza delle ultime capanne si prende una mulattiera tra gli alberi fino ad attraversare una sterrata. Si continua su un sentiero dall’altra parte che ci concede dei bei panorami su Valdieri, fino a tornare sull’asfalto. Si sale quindi verso la Madonna del Colletto, svoltando verso destra in salita e poi subito dopo a sinistra, inoltrandoci in un sentiero nel bosco su cui procediamo fino ad arrivare alla fontana della corda, posta a 827 metri.
Torniamo indietro per circa 300 metri fino a imboccare sulla destra la mulattiera che porta a Valdieri. Prendiamo la via Garibaldi, asfaltata, fino alla piazza Regina Elena. Superata la provinciale, prendiamo sul lato opposto la stradina asfaltata che ci porta su un ponte sul Gesso e più avanti, ignorando le deviazioni, diventata sterrata, fino a tetti Cialombard. Prima di arrivarci, invece di prendere la strada asfaltata, giriamo sulla sterrata a destra che ci conduce alle Grotte del Bandito. Lì viveva l’orso delle caverne, un animale che poteva raggiungere i tre metri di altezza e un peso di 600 kg. Diversi scavi hanno permesso di recuperare, oltre a numerose ossa del plantigrado, anche manufatti dell’età del bronzo e del ferro, come frammenti di ceramiche e un coltellino in bronzo prodotto in Emilia, testimone di scambi commerciali tra le due aree.
Le grotte oggi non sono visitabili, se non con particolari autorizzazioni, anche perché vi nidificano numerose specie di pipistrelli e si è insediato un raro anfibio, il Geotritone.
Passate le grotte e attraversata Tetti Bandito si arriva alle auto e alla fine dell’itinerario.