Trieste, il molo Audace

Trieste e suoi fantasmi

Trieste, ricca di storia sul crinale carsico e crocevia di frontiere contese, è la città più settentrionale del Mediterraneo e più meridionale della Mitteleuropa

Crpiemonte
6 min readSep 21, 2020

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di Marco Travaglini

Storicamente è una delle mete “fisse” dei viaggi della memoria organizzati dal Comitato Resistenza e Costituzione del Consiglio regionale piemontese per gli studenti distintisi nel progetto di storia contemporanea che ha impegnato, dal 1981 ad oggi, decine di migliaia di ragazzi delle otto province della regione. La città “luogo dei luoghi” è la protagonista dei racconti “I fantasmi di Trieste”(Bottega Errante Edizioni).

Diego de Henriquez fondò il museo della Guerra per la Pace

L’autore, Dušan Jelinčič, giornalista della RAI e alpinista, uno degli scrittori italiani di lingua slovena più autorevoli e apprezzati, traccia una personale mappa della memoria che si intreccia con vicende misteriose e “fantasmi”. Come ogni città con un passato importante,complesso e sofferto,Trieste si porta addosso i segni di ferite mai rimarginate e di irrisolti conflitti. I luoghi di questo percorso con ampi tratti autobiografici — Jelinčič a Trieste ci è nato e vive in una casa del primo Carso, ai bordi dell’altipiano affacciato sul golfo che si apre davanti al porto e alla piazza Unità d’Italia — s’intrecciano con i protagonisti delle storie.

I fantasmi di Trieste

Nei racconti prendono corpo immagini della città vecchia, del tram di Opicina che sale fino all’omonima frazione sull’altipiano del Carso e dei rioni di San Giacomo, San Giovanni e San Giusto. Si avverte l’odore salmastro del mare e il fischiare della bora, si possono immaginare le onde che s’infrangono sul molo Audace dove nel 1914 (quando si chiamava ancora molo San Carlo) attraccò la corazzata “Viribus Unitis”,nave ammiraglia della marina Imperiale con a bordo le salme dell’Arciduca Francesco Ferdinando e della moglie Sofia, uccisi nell’attentato di Sarajevo.

Il giornalista triestino Dušan Jelinčič

Lo stesso molo, quattro anni più tardi,accolse il cacciatorpediniere “Audace” della marina italiana. Era il 3 novembre del 1918, finiva la prima guerra mondiale e dalla nave che diede il nuovo nome a quella lingua di pietra in mezzo al mare sbarcò un intero battaglione di bersaglieri. Oltre al paesaggio fisico s’intuiscono i luoghi dell’anima e le storie di personaggi importanti come Diego de Henriquez che morì la sera del 2 maggio del 1974 nell’incendio del suo magazzino, dove dormiva solitamente coricato dentro una bara di legno, portando con se i suoi segreti.

Il tram di Opicina a Trieste

Un personaggio straordinariamente singolare, triestino erede di una famiglia di ascendenza nobiliare spagnola, raccoglitore di ogni genere di materiale bellico e ideatore del Civico Museo della Guerra per la Pace. La sua morte lasciò molti dubbi e forse, come fa supporre il racconto di Jelinčič, è legata al lavoro di copiatura nei suoi diari, prima della loro cancellazione, delle scritte lasciate dagli internati prigionieri nelle celle della Risiera di San Sabba, lo stabilimento per la pilatura del riso che i nazisti trasformarono in lager. Fu vittima di un incendio doloso? Cercando tra le voci e le scritte dei morti della Risiera venne a conoscenza di verità scomode sull’unico campo di sterminio sul territorio italiano?

La Risiera di San Sabba

Aveva scoperto degli indizi che potessero ricondurre ai nomi dei collaborazionisti triestini? Qualcuno di loro, in seguito,aveva ricoperto ruoli importanti nella comunità locale? Aveva dato un volto a chi, denunciando i suoi concittadini di religione ebraica, aveva contribuito a toglierli di mezzo, magari arricchendosi? Sono molti i volti che riappaiono come fantasmi, riannodando i fili di memorie spezzate e dolorose. In un altro racconto il protagonista, un anziano incontrato sul tram di Opicina, assomiglia come una goccia d’acqua al volto che si intravvede in una foto vecchia di oltre mezzo secolo accanto a quello di Odilo Globocnik,il “boia di Lublino”, l’inventore dei campi di sterminio di Sobibòr e Treblinka calato a Trieste per fare della Risiera un luogo di sofferenza e di morte.

La statua di James Joyce a Trieste

Jelinčič nei suoi racconti parla anche delle sfide calcistiche allo stadio Grezar, intitolato al mediano triestino che perì con tutto il resto della squadra del Grande Torino nella tragedia di Superga, del vecchio bagno asburgico “La lanterna”, più noto come “El Pedocin” ( il piccolo pidocchio) dove un muro lungo settantaquattro metri e alto tre divide tra uomini e donne la spiaggia di ciottoli bianchi. E’ in quel luogo che l’autore, in gioventù, fece l’amara scoperta di essere considerato con disprezzo uno “sciavo”, in quanto sloveno di Trieste.

Lo stadio di Trieste Giuseppe Grezar

Ci sono poi le storie che vedono protagonista James Joyce, lo scrittore irlandese che visse a lungo nella città adriatica completando la raccolta di racconti Gente di Dublino, diverse poesie oltre al dramma Esulie ai primi tre capitoli de l’Ulisse, il libro che gli diede fama internazionale. In uno dei luoghi più belli della città, il Ponterosso che attraversa il Canal Grande, nel quartiere teresiano, un monumento in bronzo raffigura lo scrittore mentre cammina, assorto nei suoi pensieri, con un libro sottobraccio e il cappello in testa. La targa, riprendendo la “Lettera a Nora” del 1909, recita: “la mia anima è a Trieste”.

Piazza Unità d’Italia, il cuore di Trieste

Joyce, parafrasando Dušan Jelinčič, fa parte dei “fantasmi gentili”, come lo psichiatra Franco Basaglia che iniziò dal San Giovanni di Trieste la rivoluzione che portò all’abolizione degli ospedali psichiatrici con la legge 180. “La libertà è terapeutica” venne scritto sui muri bianchi di quella “città dei matti” che rinchiudeva dietro le sbarre, con un “fine pena mai” chi era segnato dalla malattia. Grazie a Basaglia Trieste diventò la città del riscatto per tante persone come Olga, una “ex matta” che racconta la sua storia all’autore. I ricordi vagano e s’imbattono in Julius Kugy, l’alpinista che aveva cercato ovunque sulle alpi Giulie la Scabiosa Trenta, rarissimo fiore delle alpi slovene. Guardando l’immagine della piantina incollata su una pergamena ingiallita, la descrisse così: “..ecco la graziosa creatura di luce, sul calice d’argento finemente merlettato, vestita di bianco splendente, trapunta di tenere antere d’oro! Non era ormai una piantina, era una piccola principessa del paese dei sogni”.Kugy si era fatto costruire un organo che suonava personalmente nella chiesa di via Giustinelli.

Una vecchia foto dell’ospedale psichiatrico San Giovanni di Trieste

Un luogo di culto di proprietà della comunità armena, dato in affitto ai cattolici di lingua tedesca e oggi semi abbandonato, trieste esempio di degrado e incuria. Scorrendo le pagine s’intuisce che è proprio Trieste,città di grande tradizione europea e crogiuolo di etnie, ricca di contraddizioni e oscuri sensi di colpa a raccontarsi in questo libro, confessando amori e dolori, ricchezze e miserie. E Dušan Jelinčič, con la sua scrittura coinvolgente, ne ha amplificato la voce.

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