L’aspo della tirlindana

Vibra il rame della tirlindana…

Sono ormai in pochi, sui laghi, a usare questo tipo di pesca. Eppure questo semplice attrezzo ha un suo fascino e una storia

Crpiemonte
5 min readOct 9, 2020

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di Marco Travaglini

Vibra il rame della tirlindana fino sul fondo della corona,il polpastrello seconda il moto segreto in un rito d’amore rapace,quasi un respiro”. Augusto Mazzetti, poeta ortese,descriveva così la pesca a traino dalla barca sullo specchio lacustre del Cusio. Sono ormai in pochi, sui laghi, a usare la tirlindana. Eppure questo semplice attrezzo ha un suo fascino e una storia.

Il pesce persico

Viene solitamente praticata con una lenza in filo di rame o, in versione più moderna, in monofilo di nàilon, lunga da trenta fino ad oltre sessanta metri con un tratto finale di nàilon più fine a cui è assicurata l’esca, il tutto avvolto sull’aspo, uno speciale telaietto girevole. L’aspo, un tempo, veniva costruito dallo stesso pescatore, artigianalmente. Oggi quest’attrezzo si trova già pronto in commercio, solitamente in leggero e lucente alluminio. Il successo della pesca a tirlindana dipende però dalla mano di chi la manovra. A prima vista parrebbe tutto semplice e facile come bere un bicchier d’acqua ma non bisogna farsi ingannare dalle apparenze: occorre un certo tirocinio per impadronirsi al meglio di questa tecnica. Innanzitutto occorre una buona conoscenza dei fondali, valutando con esattezza la profondità di pescaggio dell’attrezzo.

L’isola dei Pescatori nel golfo Borromeo del lago Maggiore

Non ci si può affidare al caso quando si pesca con la tirlindana: l’errore risulterebbe imperdonabile. Un “lupo di lago” conosciuto in gioventù a Baveno, sulle rive del lago Maggiore, era in grado di valutare fondali e correnti, quasi avesse imparato le carte nautiche a memoria. Non parliamo poi dei movimenti: era abilissimo nel muovere la lenza, imprimendole i movimenti giusti, manovrando la barca con misura e mestiere.

Un luccio

Di norma i “professionisti” della pesca su lago fanno tutto da soli, usando piccole barche leggere, dei veri gusci di noce che manovrano con un solo remo, essendo l’altro braccio impegnato con la lenza.Taluni ricorrono al motore di potenza fra 2 e 3,5 HP ma è ovvio che, per quanto condotto al minimo, provoca un fastidioso rumore specialmente nei fondali bassi. Un’alternativa ci sarebbe, a dire il vero: un motore elettrico, silenzioso, facile da gestire e con una giusta velocità. La tradizione però conta; e la tradizione suggerisce che l’ideale consiste nell’agire in due, uno in gamba nel manovrare i remi, l’altro con il tocco giusto per far scorrere la tirlindana. La lenza tradizionale è in rame, quella moderna — come si è detto — in nàilon. Il tipo classico, in rame cotto, si trova in due diametri: lo 0,30 per la pesca leggera a mezz’acqua, lo 0,50 per andare più a fondo, puntando al luccio. Un materiale flessibile, elastico, preferibile a quello attorcigliato a treccia che risulta meno malleabile. Il nàilon, occorre ammetterlo, offre maggiori vantaggi, con un però: richiede una piombatura distribuita o raggruppata, per consentirne il corretto e rapido affondamento.

Una tirlindana in filo di rame

Con il filo di rame questa avviene spontaneamente grazie al suo peso specifico. Il nailon non richiede una particolare manutenzione, ha un carico di rottura e di resistenza decisamente elevato, le lenze sono vendute già zavorrate e, cosa non secondaria, costano meno. “La zavorra è il cuore di tutto!”, racconta il vecchio pescatore all’osteria, tra un bicchiere e una mano di scala quaranta. “Un tempo si lavorava con il rame piombato alla fine, facendoci i muscoli nell’accompagnarne il peso in acqua. Adesso si va avanti a filo di nailon e allora non resta che applicare delle olivette di piombo lunghe di un paio di centimetri e di peso attorno ai a due o tre grammi, distribuendole in modo regolare fino a raggiungere un peso di quasi mezzo chilo. Così, se zavorri bene, la lenza va giù che è un piacere e non si corre il rischio che resti troppo in superficie,trascinandola a pelo d’acqua, o di farla affondare fino a raschiare i sassi del fondo ”. Da vero esperto della materia non ammette repliche. “E’ molto importante anche la velocità con cui avanza la barca. Se si è in due la cosa migliore è procedere a remi”,confida. “Uno tiene in mano la tirlindana e l’altro rema facendo ogni tanto delle piccole pause. Attenzione, però: chi tiene la tirlindana non deve star lì come un cucù ma imprimere al filo dei piccoli, leggeri strappi per simulare una veloce fuga del pesciolino finto”.

Una tirlindana su aspo con il pesciolino finto dell’esca

Questo movimento per i pesci equivale allo squillo di tromba della carica, scatenandone l’istinto di predatori. “E a quel punto viene il bello. Avvertita la mangiata non bisogna perder tempo: uno strappo per ferrare il pesce e si avvia lentamente il recupero. La barca non deve mai arrestare il suo movimento. Se lo fai, se ti fermi, la preda ti beffa, soprattutto se è di una certa dimensione. I pesci non si fanno ingannare facilmente e non saltano a bordo di spontanea volontà. Se la preda riesce ad avvicinarsi troppo tenterà come ultima fuga di inabissarsi sotto la barca. Quando accade il rischio di perderla è alto perché, potete esserne certi, il filo andrà sicuramente ad impigliarsi in qualche sporgenza o tra le alghe con tutte le conseguenze del caso”. In ultima analisi, a maggior ragione con la tirlindana rispetto alle altre tecniche di pesca, occorre tanta pazienza. E male che possa andare, pur restando senza persici e lucci,cavedani o trote, ci sarà sempre il piacere di una “passeggiata in barca” sul lago.

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