Árpád Weisz, l’ebreo del calcio che fece tappa anche in Piemonte

Con l’occupazione tedesca dei Paesi Bassi venne deportato ad Auschiwitz trovandovi la morte

Crpiemonte
4 min readJan 24, 2018

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di Mario Bocchio

Árpád Weisz. Giocatore ungherese di origine ebraica, ala sinistra di pregio (fu anche nazionale) dopo aver militato nel Törekves, approdò al Makkabi di Brno, squadra cecoslovacca formata da calciatori ebrei-ungheresi, e con questa nel 1923 venne in tournée in Italia dove incontrò anche l’Alessandria. Probabilmente i dirigenti grigi apprezzarono questo atleta proponendogli di rimanere. Infatti le statistiche lo danno in forza… mandrogna per il campionato 1924’25, ma la sua partecipazione non risulta neppure in qualche partita amichevole.

Augusto Rangone

L’anno successivo lo troviamo all’Ambrosiana-Inter per 13 presenze con 3 reti segnate. Alla fine di questo torneo l’Alessandria si trovò senza allenatore e con il solo Augusto Rangone direttore tecnico ma impegnato in mansioni nazional-azzurre. Pensò quindi chiamare ,il 20 Marzo 1926, come allenatore Weisz di cui aveva intuito sul campo doti di leader e di capacità atte a fare di lui un buon trainer. Árpád accettò l’incarico, con i suoi trent’anni si sentiva in grado di professare quel credo calcistico che aveva affinato non solo alla scuola magiara ma anche sudamericana. Così venne, vide, ma non vinse. Stette pochi mesi e non si sa se ne andò perché non trovò ambiente adatto oppure se allettato dalle sirene meneghine piuttosto che da…i cavedani di una società sempre in ambasce economiche.

Weisz (in basso a sinistra) con l’Ambrosiana-Inter 1929-’30.

I giornali molto spesso parchi di informazioni, in questo caso furono davvero nulli. Fatto è che la scelta determinò la sua fortuna e la consacrazione ad allenatore di rango con la vittoria nel 1929-’30 dello scudetto.

Dopo fu tecnico itinerante in cerca forse di stimoli per nuovi successi. Prima a Bari, ma non andò oltre il centro classifica; poi tornò a Milano ed arrivò secondo. L’”ebreo errante”, inteso come giramondo, che era in lui lo fece arrivare nella città di San Gaudenzio, Novara, ma il vertice azzurro del famoso Quadrilatero non rispose ai suoi teoremi. Passò quindi sotto la cupola di un altro Beato, San Petronio, cioè Bologna. E la città felsinea detta la “grassa” gli approntò la base per due bei piatti. Vinse infatti due campionati di seguito (1935-’36 e 1936-’37) portando all’olimpo quella squadra rossobleu che da allora fu appellata, “lo squadrone che tremare il mondo fa”.

La squadra del Novara nel 1934. Weisz è il secondo da sinistra
Il Bologna campione del Torneo dell’Expo. Weisz è il primo in piedia sinistra, in camicia e bianca e cravatta

Gli avvenimenti bellici e soprattutto le leggi antiebraiche diventate norma anche in Italia lo costrinsero ad emigrare in Olanda dove la sua famiglia pensava di essere più al sicuro. Lì allenò la piccola squadra della citta di Dordrecht con risultati eccezionali ma la sfortuna era in agguato ed a caro prezzo voleva consegnarlo alla leggenda.

Con l’occupazione tedesca dei Paesi Bassi venne infatti deportato ad Auschiwitz trovandovi la morte. Per anni la sua scomparsa rimase avvolta nel mistero fino a quando il giornalista Matteo Marani volle scrivere la sua storia ed il libro ripristinò la memoria premiando ricordo che pareva essere smarrito con due targhe, una allo stadio Dall’Ara a Bologna e l’altra allo stadio Meazza a Milano. Alle quali dallo scorso anni si è aggiunta anche quella allo stadio Moccagatta di Alessandria.

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